Alberto sapeva di stare usufruendo di una fortuna non sua da quando aveva rubato il pennuto. Talvolta si domandava se dovesse pentirsi. Talvolta. Aveva ancora dentro una eco di catechismo e comandamenti, in fin dei conti.
Figlio del ministro delle infrastrutture, si sentiva deliberatamente autorizzato a far segnare sempre tutto sul conto del padre. Ma aveva ascoltato quel residuo di passività interiore davanti al cartellino del prezzo: 3000 euro.
Con una sorta di sfrenato abusivismo si era costruito addosso una quantità terrificante di ruoli penosi, maggiormente ridicoli quando usava un surplus di modestia. Lui. In fondo era un testicolone che fa rima con ghiottone.
Riluttante.
Solo pochi secondi prima di rubarlo dalla sua gabbia, eh. Si era poi giustificato con la scusa cha l’aveva visto gracile e poco performante.
L’avrebbe salvato lui e addestrato per incastrare gli amanti della moglie.
L’elaborazione di un piano lo eccitava. Avrebbe inghiottito intero quello che si faceva sua moglie e nel suo letto. Ma, nonostante la sua elucubrazione mentale, era pur sempre uno stupido, rendetevi conto, si trastullava con la cameriera del martedì, dopo che lei aveva spolverato il tavolo della stanza da pranzo. Finiva e lo aspettava lì, docile, lui diventava pazzo. Sì.
Uno di questi martedì però, mischino, del pappagallo se ne scordò. Che doveva sentire quello! Tutti gli “oh, sì, quanto mi piace questo ruolo di amante, oh, sì, quanto sei porca Violante…” per poi ripeterli, terrificante, all’ora di pranzo quando il tavolo fu zeppo di gente. Le pedate della moglie nel deretano furono molto più di quanto, per lei, lui stesso, aveva prospettato.
Ma il pappagallo, Alberto, nel restituirlo poi al commerciante, non poté dire di no. Era stato performante.