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quella mAttina che non ci sarai

non ditelo a ToTò

Sai quando i nonni, seduti spalle chine, col dottore, “ascoltavano” il dottore registrando una parola sì e dieci no. La voce tremula di chi non ha capito niente ma percepisce solo tragedia e paroloni, schiacciati dalla sua presunta superiorità, con il timore sovraumile di non chiedere, di far sì con la testa, testa bassa e occhi al Signore della vita e della morte, che ce la mandi buona. Nessuna domanda per non sembrare ignorante, il prete per l’estrema unzione pronto a spostare dalla canonica. Al mio via.! Una babele di grammatica e grattacapi, resoconti con sottotitoli recitati sommessi con l’atmosfera grave. Totò, che ti devo dire. NO, non ditelo a Totò. Non ditelo a Totò che può essere che si che può essere che no, ma anche ni. Totò, quante ne hai viste? questa te la risparmiamo. Che magari ti convinci questa volta e ci resti secco. Sei l’unico familiare autonomo nel giro di pochi metri. Totò. Che amore è stato, baci ma pure sganascioni. Come a tutti gli altri del resto. Metaforici o no, cambia poco. Solo che tu sei padrone del letto. Ci mancava solo il gatto. Sì a noi di qua, certo ci mancava il gatto. Gatto che non è un gatto ma un’atmosfera, un segnalatore di spiriti sagaci. Uno prepotente. A cui dire s’abbenedica. Prendere le misure per il modo corretto pure per un carezza, un bacio o un buffetto. Mi sono inchinata a te io, l’hai visto. Si? Protagonista per la foto. Non ti posso guardare, eri perfetto. Passeggiatore da un metro e mezzo. Esattore puntuale, che ora è? Urlatore di una notte. Chissà che hai visto quella sera lì che abbiam pianto tutti, Totò. E quelle sere che a urlare a casa tua non ero io perché stavo, te lo giuro, a casa mia. Potevi dirmelo, quantomeno per rispetto. Portinaio annoiato, ci hai visti tutti ma mai hai raccontato, hai lasciato che ne sparlasse solo il vicinato. Chissà che ne hai pensato. Di me, che hai pensato. Non te lo dico ma te ne sarai accorto che da un metro e mezzo passeggiate non ce ne stanno più. E allora ti posso solo augurare che quei centimetri in eccesso sentano lo stesso conforto quando ci sei, una carezza, un sorriso, un come mai? dove sei? non ci sei? quando non ci sarai, quella mattina che, annoiato, non ancora affamato, non ci sarai. Che ti ho stimato io. Quando il padrone eri tu, segnavi il limite, eretto, poi all’improvviso, mi hai dentro entra allungando anche su di me la tua zampa. Digli che torno, che sto tornando, lui ti capisce. E io a pensare stupido, lui lo sa già. Ma mai avrei pensato di scrivere io a un gatto. C’ho i miei comodi fantasmi. Ci mancavi solo tu. Stupida. Tu lo sapevi già.

Elia

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