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3 dubbi

Quando Mati aveva tre anni ballava a centro del cortile e faceva venire giù la pioggia.

Non aveva molti dubbi, direi persino il contrario.

Sapeva da dove venivano gli uccellini, Zelda per farle mangiare un uovo doveva chiudersi in bagno e non farsi vedere a rompere il guscio, così il suo pranzo per lei non veniva da lì come loro. Per fortuna, crescendo non ci fece più caso.

Ogni tanto le chiedeva notizie del semino, per disgrazia però, crescendo, ci fece molto più caso.

Il semino di Mati era suo papà.

Non ne aveva bisogno ma, ogni tanto, lo accarezzava con il pensiero e le andava a chiedere notizie. Zelda non ne aveva e inventava storie. Tanto le storie erano molto più vere della realtà.

Il semino in effetti non era tecnicamente papà, ma lei stessa. Ci ragionò verso i sei anni.

Allora fu il caso di definire i dettagli della storia, suo papà era un giardiniere ed era trasparente, le spiegò. Piantava semi finchè uno attecchì.

Non era molto convinta di questa spiegazione ma per sentirsi a lui più vicina iniziò a considerare diversamente le piante. Tutte le estati da quella la sua premura erano i gerani. Brava e accurata, i suoi erano in perfetta salute, quelli di Zelda ogni tanto stavano lì a boccheggiare cotti per via dell’acqua del portavaso, sì, esagerava e durante il giorno bollivano.

Anche lì, comunque insoddisfatta, volle dei semi. Per iniziare da zero.

Semi di cosa? fu il primo dubbio.

Piantando dei semi, poi, sarebbero nati altre Mati? era il secondo.

Glieli comprò mostrandole nomi e caratteristiche per rassicurarla che non c’erano in giro ‘semi di Mati’.

Sarebbe rimasta unica. Quella combinazione di bimba era stata possibile solo perché Zelda era il vaso.

Da allora quando preparava i suoi vasi stava attenta che non si avvicinasse troppo. Non si sa mai, le diceva.

Il terzo dubbio, che in realtà era proprio una domanda, fu come mai non c’era il suo papà.

Per la risposta concordarono di aspettare che compisse otto anni, lei aveva un calendario e depennava i giorni.

Zelda pure, nella speranza che virando verso ‘la donna’ avrebbe avuto la sensibilità di comprendere che fu difficile tutto, difficili le scelte, le potature. Le verità.

Che la vita era meglio con quel padre trasparente, che tanto poi lo aveva negli occhi, nel sangue, nei vizi. Quello che aveva le bastava, la rassicurava, lei crocettava i giorni.

Nel giorno del suo compleanno il suo regalo fu la verità, vestita a festa, come lei.

Le disse Mati, per fortuna tu non esisti. Sei fatta solo di nero su bianco per scrivere una storia, sei una serie di bozze e per questo puoi decidere tutto quello che vuoi.

Puoi farmi più alta, più giovane e più vecchia e il tuo giardiniere magari riscriverlo dottore.

Non ne fu subito convinta. Stette in silenzio per ore fino a quando tornò a chiederle quali fossero le caratteristiche migliori di un uomo. Voleva ‘scriverselo’ lei allora questo papà.

Zelda dovette riflettere a fondo per non compromettere il suo progetto e alla fine le diede quattro caratteristiche: la sincerità, il rispetto per gli altri, l’intelligenza e un buon odore. Sono cose che un figlio poi copia per diventare, si spera, persino migliore.

Lei la guardò intensa e intelligente, come se avesse gli anni di una vecchia.

Il buon odore me lo ricordo, le disse. Solo quello. Però anche questa tua è una bugia.

Aveva ragione, adesso le erano venuti almeno altri tre dubbi e uno era certamente riguardava sua madre.

Le disse che per capire la differenza tra una bugia che salva la vita e le bugie per gestire una doppia vita, avrebbe dovuto compiere dieci anni. Questa volta non si spazientì. Se quello,il giardiniere, non era una bella persona, di certo non avrebbe voluto scriverne la storia, nè essere sua figlia le rispose.

Per questo è cosa buona che tu sia una bozza, la rassicurò Zelda. Non è stato scritto nulla, nulla che rileggendo ti possa far male.

Si era fatta sera, indossando il pigiama decise che suo papà era una stella, che stava lì la notte a brillare poi invece che era un orso polare, bianco e morbidissimo, poi era il cane del vicino. Non le sarebbe dispiaciuto essere sua figlia, lui era molto carino, dopo invece era la figlia del gattino.

Un attimo dopo stava già dormendo. Zelda fumava una sigaretta in giardino.

Io mi sentii fortunata. Era veramente molto tardi e, spento il pc, non c’erano più Zelda nè la figlia di Nessuno.

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uomomediodifFORme: vernissage, what?

Clitoride non è esattamente un nome chic per un pub. Di sicuro non ti aspetti di mangiar pesce soprattutto perché nell’insegna ci sta, bello grasso, stampato, un maiale.

Già immagino uno che ti deve dare appuntamento là…si ci vediamo alle 9 e quaranta.

Chissà quanti uccelli, pensi tu, sbeffeggiando. Pare sia un posto per gente con i soldi, le donne vanno vestite da troXa. Le solite leggende metropolitane… Però non deve essere facile, effettivamente, ordinare pietanze come la zoccola, supponendo che magari ne arrivi una vera e si porta via il tuo ospite. Nessun uomo è immune alla fantasia, diciamocelo chiaro, anche il migliore pezzo da novanta si rivela una bestia, per cosa poi? 

Io ho deciso di andarci da sola, volevo vedere chi fosse il proprietario, di sicuro, pensavo, ostenta e si vanta di estrema conoscenza della fixa e di arti amatorie, cinque minuti e sarà vaffanculo, li conosco questi così. Arrivo lì, ordino spaghetti al sugo di riccio cercando di capire questo proprietario chi è. Nulla. Questo mi costringe a gustare la pasta. Buona, non posso recriminare ancora, pazienza…vado a finire il mio Insolia nel cortile. Il vento leggero e caldo fa il solletico a me e fa dondolare le cime degli alberi.

Resto seduta al buio in un magnifico silenzio finché non mi rendo conto che accanto, leggero come un fantasma, si è seduto un uomo dal viso estremamente elegante. Resto un po’ interdetta per bellezza, la scoperta e per il libro che tiene tra le mani. Inizia a raccontarmi quella storia, così, come se ci conoscessimo da sempre, in maniera semplice. A un tratto mi parla di vernissage, poi si ferma e mi chiede se per me è un inizio o una fine. Non ci penso più di tanto -una fine- rispondo. Sorride con gli occhi. Parte il primo tempo.

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Serena Pasqua (nome e cognome)

occhiverdi e capelli biondi. Nata su un social. Destinata ad avere opinioni. Destinata a ricercare like.

Immortale. Sembra.

Non è andata a squola. Non ne sentiva il bisogno.

Non è stata battezzata. I suoi erano futuristi.

Mi rendo conto di aver passato l’infanzia a studiare male la religione e chiedermi e chiedere il perché di tutto quello che succede agli uomini di Dio, che pareva, pare che poi, lui si disinteressasse. Anche oggi. Credo mi abbiano risposto che non poteva occuparsi di tutto, o che non poteva modificare quello che fan le genti, che, ai funerali, vuol dire che era SCRITTO e che in Lui bisognasse aver fede e basta. Altrimenti… ecco. Che siete veramente tutti infedeli?

Infedeli con un’opinione. Opinione contaminata dalla paura. De ché? Per dire, si vive fino a ottant’anni: una trentina sono di crescita e di costruzione di sogni, esplorazione dell’ambiente sesso, sorrisetti, frasi fatte, si studia, si cazzeggia. Poi bum.

Ruota più grande, più grande il cerchio. Aspettando che sia domani. Contando i giorni, passati i 45 anni. Contando quello che resta, aspettando a casa che venga il futuro. Vivendo di merda, TRANNE UN CIUFFETTO DI FORTUNATI, qualcosa che non ha definizione, sprecando quel tempo prezioso ad abbaiare. Bau. Qualcuno addirittura fa Cai Cai e basta, bestia.

Vero è, nonostante chi parlotta di politica e ideologie, costantemente, che si potrebbe provare a fare la rivoluzione, in ogni ambito, per essere precisi. Dal nostro mondo personale a quello concentricamente più grande, certo, ma gli schiacciamosche devono essere assopiti e avere lontano la paletta che poi sai è un attimo, si svegliano, convogliano, basta spegnere la luce in tutte le stanze e lasciare una lampadina sola per raccogliere tutte le mosche e Raid!

Dunque, mi affaccio un attimo sui social per vedere come sta Serena Pasqua e… tutti hanno opinioni sulle guerre, questa solo perché ha più campane, pare Pasqua pure lei. Che vorreste/vorremmo decidere mai? Chiedo veramente e semplicemente. Io della politica raccontata, schematizzata, giustificata dagli uomini sono veramente ignorante. Mi ha stufato subito, ai tempi in cui potevo studiarla, la favoletta che è SCRITTO e devi solo avere fede per Uno che dovrebbe essere milioni di volte più grande… penso a loro.

Penso che mi sono arrivate due bollette enel da 435 e 454 euro, le tasse, la tv, le accise, e pago, come tutti i cornuti della storia, oggi di meno, domani di più. Oggi ci sono poi magari decidono che una bombetta va sganciata qui, per fatti loro eh, mica per me, che sono una valida e conforme consumista…bellina, ma sai càpita. Càpita che uno debba sganciare, che vuoi farci. Poi così ci si mette forse d’accordo. No eh?

La storia la scrivono gli uomini e già questo è il danno. C’è poi storia non scritta e siamo veramente troppi e conflittuali, sacchi di paura, sacchi di cultura, sacchi di amore, sacchi di odio, sacchi di traumi, sacchi di niente e sacchi di troppo. Opinioni.

E tu stai lì ad aspettare che cambi qualcosa nella tua vita? Non sei stato abile a fare successo con i social inventando porcherie, non hai il corpo, la mamma, la struttura, gli amici per diventare influencer…Si deve cercare qualcos’altro. Che so, una deviazione sessuale. Una scusa nobile come una malattia psichiatrica e cercare di arraffare tutto. E poi devi avere anche l’energia per alzarti dal divano…

La vita, se non sei sotto le bombe, vola. The time che -Battiamo le manine che adesso viene papà, ti porta i biscottini e (baby’s name) mangerà. Clap hands. Yeahh.- is over.

Bello, però, il figlio di un politico a caso, (almeno se la foto è recente), io non sapevo manco che ne avesse uno ma poi… le notizie vere e false corrono, non lo sapremo mai per cui le prendiamo con le pinze e per sì e per no le leggiamo tutte và e dunque:

scrivono: il governo A ha accusato il figlio del presidente di B di finanziare un programma di ricerca militare per lo sviluppo di armi biologiche in Ucraina, e nello specifico antrace…

Sì più delle altre mi si è inceppata sta notizia, perché non ho ancora da scappare dalle bombe, certo, come direbbe mia nonna, u malucchiffari… altrimenti pensavo a lui. Ah no, un poco di tempo, in verità lo dedico anche a chi si fa fotografare in maglia verde militare, cioè proprio servizi fotografici, maglietta verde, sacchi da trincea…meno bello lui, siamo sinceri, non dice nulla. Gente che racconta di gas, di risorse, che morirà se fortunata, di vecchiaia, pure questa, non mi pare nessuno invincibile ma pare stiano programmando per i prossimi 850 anni, raccolgono soldi come se poi li spendessero per una vita scintillante ma sono sempre là… E m’è venuto il dubbio, come a squola.

la domanda è…questa gente, padre e figlio, nemico, alleato del padre e alleato del nemico, e come direbbe Pirandello, padre come lo vede il figlio e figlio come lo vede il padre e ognuno come vede se stesso…han trovato Dio, padre e figlio etc. e il pertugio per l’immortalità? Altrimenti non me lo spiego io, per vivere bene e godere in media 80 anni, cibo, sesso, case, avanti…un paio, la piscina…avanti…macchine di lusso, vestiti, amanti, vacanze. Ma poi si muore, cioè finisce.

No? C’avete biglietti per altri mondi? e l’immortalità scatta da una età precisa? nel senso, a me piacerebbe rimanere di 47 anni, max 48, che già faccio fatica al risveglio, non sono troppo scattante prima del secondo caffè. Se po ffa’? Ma è un club composto solo da voi? Non sono sicura di non annoiarmi dopo, non si sa mai, posso portare con me Serena Pasqua? Mi pare martoriata dagli ultimi anni, sai virus da laboratorio, mascherine, attacchi di panico, terrorismi, malattie, multe, bollette aumentate, grano modificato, glutine, latte scaduto, acqua avvelenata, venti di guerra…sciupata, ma è bidduzza…

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I soldi dei baci

Giovanna ma…
Il senso.
Non c’è un senso o forse è così grande che non lo vediamo. Metti l’orizzonte. Anche noi siamo l’orizzonte di qualcuno che sta dall’altro lato. Ma non lo vediamo.
Giusto.
Potrebbe essere.
Giovanna ma…
Il sentire.
Sento solo dolore.
Definisci dolore.
Ti faccio un esempio: c’è uno là fuori nel mondo che sa che, se dovesse incontrarmi, in un angolo remoto del passato, potrebbe pensare di dirmi: vieni a casa, subito!
Nel passato? Quale casa?
Lì. sì. Dentro. Noi.
E il dolore dov’è?
Nel sapere che non lo incontrerò più in quell’angolo remoto del passato dove potrebbe dirmi: vieni a casa subito! A casa. Capisci? Ma tanto lui è casa con tutte.
Senti solo dolore?
No, anche un dolore nero.
Due dolori… perché il primo di che colore è?
Bianco brillante accecante.
Ecco. Definisci il dolore nero.
Il dolore nero è quello che non puoi raccontare a nessuno perché non è tuo, e mentre ti rimbalza da una vena all’altra aumentando le tue pulsazioni, non puoi far nulla. Sei legato a un masso. Nero.
I suoi segreti, se fosse che, come tutto il resto, fossero veri, me li ha riversati addosso, se fosse che, e c’ha scavato un fosso.
Ne ho la responsabilità e per questo non lo posso fracassare.
Non lo posso ferire, anche se hanno ferito me.
Ha il porto d’armi e può sparare.
Io no.
E cerco un nuovo angolo. Ecco Giovanna. Ecco qui il sentire.
Dovevo farmi rimborsare i soldi dei baci. Sento di avere speso troppo e questo mondo è diventato rotondo per evitare che gli angoli di oggi diventino quelli in cui domani possa sentirsi autorizzato a dirmi: vieni a casa, subito! Ma il mondo tondo non ha indicazioni né zone di sosta.
La certezza a volte svolta presto, a pagina 3 di certi libri. E se svolta vuol dire che c’è un nuovo angolo.
Che libri.
Quelli che hai comprato oggi, ti ho visto sai…
Ah. Sa leggere.
Bene.
Giovanna ma…
Dormi, domani rimodelliamo il mondo.
Bene. Buonanotte. Ma i soldi dei baci?

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Tic tAC

Parli con il cane, con l’aspirapolvere, con il secchio, con le pietre.

Ti vedo sì.

Ti ho visto fare cose assurde o il niente più assoluto.

So che saresti capace di mettere il cane nel microonde e il pollo nella cuccia.

Il pollo crudo. Il cane vivo… per poi tornare di corsa a sistemare il cane. Odi il tempo se passa in fretta, se porta al buio, se non è ricco di cose, se hai sonno, se ti ruba le idee. Odi quelle ore in cui la luce si diluisce e si sperpera tra le foglie e poi le spegne.

Odi guidare di notte. Sentire tic tac quando si rinnova sul calendario qualsiasi data che riesuma dolore. Proprio non lo sopporti, no. So che non vedi l’ora di partire e subito dopo di tornare. Che odi trovare fuori da qui un mondo che sa ancora di radica di noce, di marmi anni ‘70, di bordure dorate e lampadari kitsch, la gente bianca, la faccia come di farina, la pelle screpolata, l’odore di chiuso come se dormisse la sera in un armadio, il bicchiere sfocato del bar, i graffi sulle cose.

I capelli sporchi. Il tempo che stringi, dilati, deformi, che percorri avanti e indietro per restare sempre lì sul passato a quelle ore accumulatesi come fasce sulla tua carne e che stringono, tirano, si allungano. Legano. Diffondono.

Stanno lì quelle ore come mille voci da mille megafoni che urlano per tutte le direzioni.

So che ami il tempo irradiato di sole, ridere, sognare, che vorresti avermi con te ma ti dimentichi di farmi riparare. Le lancette svenute sulle 3:33 di un giorno qualunque di qualche tempo fa. Mai più tic tac. E basterebbe un orologiaio, alacre, onesto e sognatore. Ma è fatica anche solo pensare di andare. Riparare. Ripartire. Odi.