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Dieci meno due

Ha un cappello da clown
Il ghigno
e
Il bisogno
-Amore mio- perché questo è un sogno
-Amore mio- perché  questo è un segno
La mia gamba era di legno
Adesso non piu
Ha un cappello da clown
Una linea incisa diritta
Nel destino la sconfitta
Il ghigno
Il bisogno
Era segno
Segno che era sogno
Non c è più Dio
Non c’è disegno
Non era sogno
Era ligneo
Una croce o più
La linea dritta della sconfitta
Di quando si sfida
si affronta il mulino spinto da vento
E queste parole restano nere e blu
Ma non ha più complice nessun convento
Il suo Dio non lo aiuta più
Si paga ora o in un altra vita
Che paghi guardandosi a testa in giù
Le mani
Le dita
Dieci meno due
Due di meno
Cerca le dita nel cuore
Non le trova più

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Il cortile si è spoStato

quello su tela (da cui la copertina di Cortile Cacao) è andato a farsi un giro per Catania e si è fermato a Palazzo Arcidiacono

https://www.palazzoarcidiacono.it/?fbclid=IwAR1bh8eEnFvOMWEwZG1DIAvWjr5IAoZfojMJIVJ0Oj4tPU5y_kqrpTpvgGE

da adesso un pò di quadri andranno in vacanza lì, beati loro. Grazie a Livio e RoBERtina.

il posto è incantevole e il centro di Catania per me è stato, per un bel periodo, la conca di un certo sogno.

Un sogno lungo più di un anno, immotivato, senza alibi, solo istinto. Puro e semplice.

Li chiamiamo sogni quando non li percepiamo possibili nella proiezione della nostra vita o perchè li sogniamo solo noi e gli altri sembrano essere fin troppo svegli su certezze fatte di nulla o rispettabilissime paure.

Me ne sono accorta questa primavera.

Nessuno DI NOI ci aveva pensato veramente prima di essere recintato di paura e di lock down, almeno questa è la mia percezione, che certi sogni posticipati possono finire nello scarico fognario senza avere provato a metterli in scena veramente e non ne resta traccia, tranne la malinconia. E che forse, invece , valeva la pena di creare un attimo la scenografia, mettere lì gli attori, anche in tuta, con la canottiera slabbrata, i capelli senza messa in piega, le calze con peli del cane raccolti nel tragitto tra il letto e il bagno… e provare le scene, almeno un atto, almeno uno.

Ci vuole coraggio. Credo. O forse pazzia.

Non è forse pazzia, invece, rinunciare? il ragionevole dubbio.

Quando ci si incontrava dal fruttivendolo un giorno si’ e uno no, e le nostre case erano piene di cibo e organizzate per la “guerra” molti di noi hanno realizzato che si muore. C’è chi l’ha realizzato eccessivamente poi…quelli che la tv e il social network…quelli che se non mantieni distanza con il tuo carrello dal mio ti abbaio che ti faccio diventare sordo, quelli che l’isteria, il dubbio, l’untore, quelli che la parola untore non l’avevano sentita dire mai e io, che una sera dovevo andare a lavoro, era saltata la corrente, per strada nebbia e nessuno e la sensazione di troppo silenzio, di morte, di non avere via di scampo… che se ti succede qualcosa non si ferma nessuno, nemmeno per rubarti la macchina che può essere infetta pure lei, che non puoi andare verso e nemmeno tornare indietro, a 30 km orari su un limite che era bardato di sospetto, egoismo, urgenza di sopravvivere all’altro e in preda a scosse violente, le gambe che saltavano quasi fin sopra lo sterzo, le mani che non riuscivano a tenerlo fermo, il cuore che trapanava nel petto, ansia, dolore, temporanea inabilità , ho capito che non c’è via di scampo da certe cose lasciate appese. Ho accolto il ragionevole dubbio che non aver vissuto certi sogni non sia servito a nessuno…

il ragionevole dubbio è diventato amico mio. I preconcetti, che già non ospitavo volentieri per nausea ed esperienza, hanno lasciato spazio a una curiosità senza troppe impalcature, senza giochetti, arresa.

Che primavera…Ninni che se ne è andato, un pelouche che mi ha dato i bacetti sul collo per 10 anni, sta sotto a un gelsomino e pure sopra a un quadro e da lì mi fa l’occhiolino, una laurea seguita con il pigiama e l’asciugamano sulla testa dopo lo shampoo, il mascara sbavato e la sigaretta, nessun abbraccio e auguri solo whatapp, gli allarmismi, i comunicati in tv, la mamma con le lacrime agli occhi che non ti può dare i bacetti, che poi in realtà se li prende lei, tutti, , il saluto coi gomiti, il disinfettante che prima era di marca e la gente si faceva pure la doccia, le false informazioni, le false percezioni, le procedure, i comunicati in tv rivisti e corretti, la tosse che non ne hai ma ti viene in fila alla cassa… Per capire cosa vuoi veramente devi rischiare di perderlo, per una sorta di atrofia delle emozioni. La vita stavamo perdendo. Tra chi ha rischiato, chi l’ha fatto, di morire intendo PURTROppo, chi ne ha solo avuto paura siamo arrivati qui ebeti e, mi auguro anche voi, ricchi di bilanci. Io credo che valga la pena battere la paura con emozioni eguali o pure più forti. Vale la pena provarci. cHE SIA volARE O scavare. Provarci. Io credo.

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PAnciNI

I bambini afferrano i doppi sensi e li ingoiano e poi il loro pancino diventa un pancione. Pesante come un elefante, mi hanno suggerito qualche giorno fa. Sì, me lo ha detto la mia microassistente.

Elefante.

Ci penso e ci ripenso , e penso pure alle gastriti, quelle che ci facciamo venire ingoiando battute acide, amori andati a male, commenti scaduti, intenzioni riscalDate, roba rimessa sul fuoco disperatamente che sicuramente il giorno dopo può andar bene ma, troppo tempo dopo, non si fa più digerire. Ma questa è la mia sensazione, quella di una con le intolleranze (non chiedetemi perchè, chiedetevi se ne avete voi, se ne hanno i vostri figli: cosa è esattemente che non si riesce a tollerare?).

I grandi possono cambiare strada, cambiare le cose, proteggersi. I piccoli devono tenersi l’elefante… nascerà una storia da questa cosa, abbiam deciso:

sArà la Storia di Sofia e di Lele, il suo pancino.

La mia microassistente mi ha detto che devono essere disegnati in maniera distinta:

SOfia a sinistra , Lele a destra, grande, molto grande.

CI vuole stomaco, mi viene da dire. Una pancia. Una pancia grande per aiutare i pancini.

E storia sia…

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Recensioni all’ intraSatta da

A Book For Life

http://abookforlifegs78.blogspot.com/

( che ringrazio assai assai)

 Cortile Cacao è un posto magico, un posto in cui tutto può accadere. Proprietaria della casa con il cortile color cacao è Bruna, sensitiva capace di modificare il corso degli eventi. Affascinata dai numeri e dalla magia userà le sue doti soprannaturali per salvare la vita a Noah, attore americano incoerente e pericoloso, perseguitato da uno squilibrato. La scrittrice, Cristina Schillaci, ci apre una finestra nella vita di Bruna, tra gli affetti vicini (le amiche e la sua cagnolina Guenda) e lontani (le sue nonne). Alle 3:33 di giorno o di notte Bruna entra in connessione con Noah, catapultandoci, attraverso immagini e sensazioni, nella vita dell’attore. Ci trasporta anche in diverse città, ma riesce a farci sentire sempre a nostro agio anche davanti all’inspiegabile e irrazionale. La lettura, anche nelle parti visionarie, scorre facilmente grazie ad uno stile semplice, ma originale. Si notano molte contraddizioni volute, che sottolineano lo stato d’animo e l’essere della protagonista. L’attaccamento alla sua Sicilia, anche per il largo uso di termini dialettali, è chiaro ed evidente e trova radici proprio in quel cortile suggestivo, profumato da fiori e colorato da piante, ortensie blu e tavolini azzurri. Il segreto per leggere “Cortile Cacao” è quello di lasciarsi trasportare, varcando la sottile linea del reale per entrare in una nuova dimensione. E chissà se, dopo, tutti noi, alle 3:33 noteremo qualcosa di nuovo che prima non avevamo mai notato.